OMO RIVER RAID
ETIOPIA 2003
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00.35, Aeroporto di Roma Fiumicino, le turbine del Boeing 757 Ethiopian Airlines cominciano a rombare, e ci proiettano all’inizio di questa nuova avventura.
Ci aspettano gli altipiani e gli spazi infiniti della parte meridionale dell’Etiopia, i suoi laghi, le sue valli, le montagne e, alla fine, il fiume OMO che si immette nel lago Rodolfo – o Turkana – in Kenya.
Le nostre moto ci aspettano all’aeroporto di Addis Ababa, già tutte sdoganate, pronte a solcare chilometri di sterrati e chissà quant’altro.
Una rapida tappa in albergo e poi andiamo ad accendere i nostri motori per andare alla scoperta della città, tutt’un claxon sotto una cappa di scarichi di camion, classica atmosfera di una grande città africana.
Anche qui i bambini ci vengono incontro, siamo 19 moto e 26 partecipanti, una vera e propria carovana.che suscita non poche curiosità.
Siamo praticamente a digiuno dall’alba, ora ci aspetta una lauta cena a base di “ingera”, il piatto forte etiope, un bel sonno e domani... si parte!Si inizia con l’immancabile sveglia di Alex, il capogruppo, alle 06.30... mattinata di preparativi, acquisto delle ultime scorte di viveri, acqua e taniche per la benzina e poi via, ci aspettano 320Km di cui la metà di pista.
L’uscita dalla capitale ci regala un traffico davvero caotico, con aria pesantissima piena di fumi di scarico dei camion che dobbiamo assolutamente superare per non finire asfissiati e anneriti. Ma usciti dalla città è un susseguirsi di paesaggi verdissimi, con tantissimi bambini che ci salutano quando attraversiamo i paesini.
Dopo la sosta per il pranzo arriva la prima “avventura” di questo viaggio: Alex si ferma a riempire le 10 taniche per la benzina mentre noi proseguiamo scortati da due jeep. Lo rivedremo solo alle 21.30, perché la terza guida lo porterà su un’altra strada per raggiungerci. Questo scherzo ci costerà caro, perchè sosteremo circa un’ora ad aspettarlo, ignari del cambiamento di percorso. Decidiamo quindi di proseguire fino a Dodola, incrocio dove inevitabilmente dovremmo ricongiungerci. Perdiamo altro tempo, ci coglie un temporale e, come se non bastasse, finisce la strada asfaltata per lasciar spazio ad una pista di terra rossa. Si prosegue abbastanza bene, ma ci rendiamo conto che il sole stà per calare... e uno sterrato, al buio, non è delle cose migliori da affrontare. La seconda avventura ce la procura Andrea, che proprio al calar del sole, cade con la ragazza, seguito ad una foratura. Scende giù il buio e inizia a piovere...
Dopo le riparazioni necessarie proseguiamo con molta prudenza fino a Dodola, dove incontreremo Alex e Ines non poco preoccupati, ma felici di trovarci tutti quanti. Ci sistemiamo quindi in un alberghetto trovato da loro, dato che la tappa prevedeva l’arrivo 100km più avanti, a Dinsho. Felici e stravolti da questa prima tappa movimentata ci gusteremo un piatto di spaghetti locali... prima di coricarci.Notte quasi insonne, non so perché, e ci aspetta una giornata di sterrato. Percorriamo la pista in montagna, tanti prati e valli verdi, sembra a tratti di essere in Svizzera... Arriviamo al passo dove c’è un botteghino e ne approfittiamo per un’ottimo tè per scaldarci. Siamo quasi a 3.900m!
Arriviamo per pranzo a Dinsho, in un simpatico lodge di montagna. Si sente l’altitudine, freddo e umido. Dopo pranzo ci avviamo verso Goba, dove parcheggeremo le moto nel cortile di un simpatico farmacista. Dopo un giretto al mercato, scortati da tutti i bambini del paese, saremo invitati nel salotto del farmacista che vuole conoscerci meglio. Non capita spesso di ospitare una decina di europei in moto, da queste parti, e ci tiene ad offrici da bere e da mangiare, che ovviamente non rifiuteremo.
A sera ci raduniamo tutti attorno al grande camino del lodge, a digerire un minestrone caldo e un po’ di bresaola... le buone abitudini non si devono perdere neanche in viaggio...
Dopo la solita sveglia all’alba e una lauta colazione, ci toccano gli 80km di sterrato di ritorno verso Dodola. Risaliamo fino al passo, ma il sole non è ancora sorto... e , più saliamo, più ci immergiamo nella nebbia. Lo spettacolo della montagna, con la pista infangata, è davvero dantesco.
Oggi Laura, la mia cuginetta che ha deciso per un viaggio diverso dal solito, ha deciso di venire con me in moto, e cosi mi cimento sullo sterrato in due sulla moto, che si rivela anche più stabile, malgrado il peso piuma della passeggera... fino a due km da Dodola... La pista, in due giorni, si è trasformata in cantiere e lo sterrato è diventato una pietraia pazzesca. Ho davanti a me il BMW GS1150 di Michele, lo vedo sbandare a causa di un grosso sasso, e si accascia di traverso sulla pista... Cristina, la sua passeggera, viene balzata via e me la trovo davanti alla ruota anteriore; sterzo a destra per evitarla, la pietraia è scivolosa e finisco cosi in un campo, senza riuscire a raddrizzare la moto. Siamo praticamente fermi, ma di traverso... Plaf! Con Laura che si ammacca la chiappa sinistra.
Risolto l’incidente, fortunatamente con solo qualche piccola ammaccatura alla moto e un piccolo spavento, proseguiamo fino a Dodola. Ci sono ancora 80Km di sterrato prima di raggiungere l’asfalto della strada che congiunge Addis Ababa ad Awassa, attraversiamo decine di villaggi immersi in una bellissima e folta vegetazione, con tantissimi pascoli e sempre tantissimi bambini che ci salutano urlanti e gioiosi.
Arriveremo finalmente ad Awassa nel primo pomeriggio, città media su un grande lago sul quale faremo un’escursione in barchetta a remi per vedere quattro ippopotami, anzi, gli occhi e le loro buffe orecchiette, per la verità.
Dopo cena, l’albergatore ci tiene ad offrirci il caffè... tutta una cerimonia con una donna che tosta i chicchi di caffè sulla brace, li macina, versa la polvere nella caraffa che viene poi messa a bollire... 2 ore... per un caffè.Tappa di trasferimento. Colazione alla pasticceria “Pinna” di Awassa per poi proseguire verso sud, direzione Arba Minch. Tutta strada asfaltata attraverso paesini e un passo, dove acquisteremo baname ai bambini, come pranzo. Inizio pomerigio intravvediamo un lago enorme – il lago Abaya – costeggiato da colline e con qualche isolotto. Siamo vicini alla meta. Montiamo il campo tenda e ci gustiamo un bellissimo panorama sui due laghi, Abaya e Chamo. Ceniamo al ristorante del campeggio per poi trascorrere la serata ad ascoltare le storie di Alex.
Stranamente ho dormito poco in tenda, ma l’altitudine, si sa, gioca brutti scherzi. Ci aspetta un’intera giornata di sterrato che ci porterà in cima al parco Nechisar, tra i due laghi. Il panorama è davvero suggestivo, malgrado il tempo coperto, e servirà a smaltire l’ansia per la pietraia che mi toccherà affrontare, questa volta in discesa ripida... il Transalp sarà anche un’ottima moto, ma non salirà mai come i TT o DR o altri KTM che mi sfrecciano accanto, saltellando come gazzelle!!
Il pomeriggio ci aspetta un’altra salita, sulla montagna opposta, dove visitiamo il mercato di Chencha, sotto una pioggerellina fastidiosa che rende lo sterrato scivoloso. Concludiamo con una visita alle capanne dei Dorza, quelle col “nasone”, per poi ristorarci con dell’ottimo pesce di lago.Non lasciamo Arba Minch senza una suggestiva gita in barca sul lago Chamo, per vedere colonie di coccodrilli impressionanti, lunghi fino a 6-7 metri, ippopotami (questa volta da vicino e non solo le orecchie) e pellicani. Ritrovate le nostre moto, ci rimettiamo in sella, sempre in montagna, poco asfalto e molto sterrato fino a Konso. Li ci installeremo in 24 in uno stanzone, con i sacchi a pelo a terra, per la gioia di chi russa e ci terrà svegli diverse ore.
Nel pomeriggio visiteremo altri due villaggi nei dintorni, scoprendo i diversi modi di vivere di questa gente di montagna, le capanne, l’organizzazione del villaggio, i bambini, sempre pronti a chiedere di essere fotografati per guadagnarsi qualche birr (la moneta etiope) o, come faremo noi, qualche caramella e biscotto.Dopo aver appunto dormito qualche oretta scarsa, ci alziamo alle 05.30. Una pioggerellina fitta fitta ci annuncia già il fango che troveremo sulla pista che ci porterà a Jinka. La “strada” è bellissima, tutto un sali e scendi, fino ad arrivare all’altopiano. Peccato per Matteo che ha dovuto abbandonare il suo KTM400 a Konso, per via di uno strappo alla schiena.
Breve sosta a Woito, per un tè. Arrivati a Jinka rimontiamo le tende (mai che si arrivasse in tempo per prendere una stanza...) e trascorriamo la fine del pomeriggio a fare un po’ di manutenzione. Una pulizia del filtro dell’aria sarà per me più che sufficente.Da Jinka entriamo nel “Mago Park”, un parco nazionale che ospita la tribù dei Mursi. Il percorso è micidiale... si deve prima arrivare al passo attraverso una pista di fango che mi farà scivolare la moto da sotto le gambe ( già che non sono alto...) per poi scendere a valle sotto il sole che picchia. Sistemato il campo tenda in compagnia di simpatici babbuini e scimmie volanti che ci osservano incuriosite, inforchiamo di nuovo i nostri mezzi per percorrere i 40km che ci separano dal villaggio dei Mursi. La pista è stretta, a tratti di sabbia, a tratti di terra, con diverse pozzanghere da aggirare, quando si puo’... e col sole che picchia deciso a 37°. Arrivo allo stremo delle forze al villaggio e ci tocca affrontare una folla di bambini e ragazzi eccitati, a caccia di soldi per una foto, che tenta in qualsiasi modo di chiamarti per vendere un ricordo. Tirano da tutte le parti, non so più a chi dare retta, non c’è assolutamente verso di muoversi... tanto basta per battere in ritirata e constatare con amarezza il danno provocato dal turismo e dagli occidentali nei confronti di questa gente. Peccato davvero, perchè queste donne col piattello labiale e i loro vestiti sono davvero unici.
Tornati al campo ci tufferemo mel fiume, aggrappati ad’una corda, per un bagno ristoratore.Ci svegliamo dopo una notte trascorsa ad ascoltare uccellini e altre cicale, pronti a guadare il fiume per andare verso Turmi. Niente da fare... le troppe piogge che ci hanno accompagnato fin qui hanno ingrossato il fiume, carburatori e filtri vari sono troppo bassi e la corrente troppo forte. Ci toccherà ripercorrere la pista fino a Jinka, 70km in più, ri-pietriaie... ri-fangoni...
Ma da Jinka in poi saremo ricompensati. La pista che porta a Turmi sara’ sicuramente il più bel ricordo di questa giornata africana, 125km di bellezza naturale, di gente che sbuca fuori dal nulla che ti sorride, non puoi parlare la stessa lingua ma ti rispetta e ti accoglie con un sorriso. Sono gli Hamer.
La nostra giornata si conclude nel simpatiscissimo villaggio di Turmi, con una bellissima doccia in mezzo ai campi, sotto la luna piena, e un’ottima cena etiope.Ci siamo svegliati in piena notte... una pioggia tropicale si è abbattuta sui nostri piccoli igloo cogliendo di sorpresa chi non aveva messo il telo anti pioggia (hi!hi!hi! mi avevate preso in giro, eh?) e ora eccoli li... a saltare come cavallette sotto l’acqua!
Trascorriamo la mattina a giocare a pallone con i locali (perdiamo 2 a 1 e mi sfregio pure un braccio...) e a passeggiare per il mercato. Nel pomeriggio partiamo per Omorate, sul fiume OMO. Arriveremo nel punto più a sud di questo viaggio, al confine col Kenya.
Partiamo, percorro 17km di sterrarto dritto dritto, osservando animali, babbuini, gruppi di uccelli simili a pavoni... e capisco di essere solo... nessuno davanti, nessuno dietro... ma dove sono finiti tutti quanti?
Fortuna vuole che trovo una ruspa con degli operai, chiedo loro se hanno visto passare delle moto... se quella è la direzione giusta per Omorate... e dal loro sguardo capisco definitivamente il guaio.. ho imboccato la pista sbagliata! Ripercorro i 17km a manetta, rischio anche di travolgere una capra ribelle che non ha seguito il gruppo (mmmh... mi ricordi qualcuno!). Arrivo a Turmi e già i bambini mi fanno segno con la mano la direzione giusta... si avvicina un poliziotto che alza una sbarra, gli chiedo se non ci sono bivi fino a Omorate, e riprendo la mia corsa. Trovo metà del gruppo dopo tre km, fermo a causa di una foratura... che mi guarda con aria di chi si chiede “e tu da dove sbuchi??”...
Arriviamo dopo 70km di pista in mezzo ad un paesaggio tipo macchia mediterranea a Omorate, dove ci accampiamo nel recinto della piccola caserma locale. Il pomeriggio attraversiamo il mitico fiume OMO per andare a visitare un villaggio di capanne basse basse, sembra di attraversare un presepe, con le donne intente a macinare semi per trarne una farina o una poltiglia di peperoncino, a mungere le capre... mai che si vedesse un’uomo lavorare.
Tornati al campo malgrado il caldo e la luna piena, questa volta metteranno tutti il telo anti pioggia. Infatti, alle 04.00...
Oggi ci aspetta l’escursione al lago Turkana, al confine col Kenya, 30Km più a sud. La pioggia ha fatto il suo dovere, trasformando la pista di terra in fango... una saponetta... entriamo poi in una piccola savana, cespugli di acacia e sabbia a non finire, mantenere l’equilibrio è davvero faticoso e più di una volta mi toccherà tirar su la moto... fino al momento fatidico: un infossamento quasi generale nel fango, anche le jeep faticano a stare dritte. Siamo finiti in una zona tipo palude pre lacustre, e non c’è verso di andare avanti, almeno per noi che abbiamo le moto più pesanti. Pioviggina di nuovo, e la nostra guida decide di rientrare al campo. Dovesse piovere a dirotto rischieremmo di rimanere bloccati anche due giorni. Smontiamo le tende, ripercorriamo i 70Km
fino a Turmi dove ci accamperemo in un bel campeggio. Pomeriggio di relax, manutenzione delle moto, doccia... questa sera ci aspetta un bel capretto alla griglia, cucinato a dovere dalla nostra simpatica guida Josuè. Dopotutto è Ferragosto!
Oggi torniamo verso Konso, ma abbiamo un problema... siamo agli sgoccioli con la benzina, non ci sono distributori e le taniche sono ormai vuote. Travasiamo dalle moto più capienti e partiamo, ma non mancheranno le soste forzate per mancanza del prezioso liquido.
Ritroviamo nel primo pomeriggio la pista Jinka – Konso, attraverso le colline che ricordano vagamente i colli Senesi. Gli immancabili bambini che incontriamo sul percorso ci proporranno statuette di legno e pupazzetti confezionati da loro, che riporteremo a casa come piccoli ricordi dei loro sorrisi.
Arriviamo nel tardo pomeriggio a Konso, dove Matteo potrà finalmente riabbracciare la sua amata KTM.Ci svegliamo nella notte, nello stanzone comune da 26 posti (ma senza i russatori che si erano trovati una camera separata) dal rumore della pioggia tropicale che si abbatte sul tetto di lamiera, e da un’intenso odore di benzina... al mattino, il primo che si alza tira giù gli altri con un commento laconico... ci sono dieci moto a terra, col cavalletto che ha ceduto nella terra diventata fango.
Ci aspetta una tappa di 320 km, di cui 105 di sterrato. Faremo appena 2km scarsi. Dietro una curva, bastano 250 metri di pantano per immobilizzare la metà delle moto, quelle col parafango anteriore basso, pieno zeppo di terra che si accumula fino a bloccare la ruota. L’esperienza vissuta in Yemen l’anno prima, identica, insegna, e in quattro e quattr’otto smonto il parafango liberando la ruota. Non è il caso dei vari BMW che hanno bulloni inaccessibili a meno di non smontare la ruota e il cavo del freno (Tsk! Tsk!... queste BMW...). Arriveremo con tre ore di ritardo a Yavello, dove pianteremo per l’enesima volta il campo tenda nel giardino dell’albergo senza stanze disponibili e trascorreremo il pomeriggio al sole, a pulire le moto.
Siamo alla fine degli sterrati, a Yavello ci ricongiungiamo con l’asfalto (benedetto sei tu... non mi ricordavo più il tuo colore!).Giornata corta, ma ci alziamo come al solito all’alba...
Percorriamo 100km verso sud, sull’unica strada asfaltata che porta al confine con il Kenya. Dopo una piccola traversata di pista sabbiosa nella savana arriviamo a Sodo, dove si trova un vulcano con un piccolo lago salato sul fondo. Era prevista l’escursione a piedi fino alla base del cratere, ma l’avidità degli abitanti locali ci fa cambiare idea. Scattiamo qualche foto di nascosto e proseguiamo verso Duburuk, per vedere i “Pozzi cantanti” dei Borana, antichi pozzi scavati nella terra dove uomini si calano coi secchi a tirar su acqua per alimentare un abbeveratoio per animali, il tutto cantando una nenia per farsi forza.
La stanchezza si fa sentire, si avvertono i primi cedimenti causati da febbri alte e dalle escursioni termiche di queste giornate caratterizzate da momenti di pioggia, tempo nuvoloso, umidità e sole. Senza parlare dei sei giorni consecutivi trascorsi sullo sterrato.
Il pomeriggio servirà per ricaricare le batterie, siamo a oltre 500km da Addis Ababa, e abbiamo ancora due giorni interi di moto.Lasciamo Yavello per risalire verso nord, strada a tratti in collina, attraverso paesini immersi in una folta vegetazione. Arriviamo dopo 230Km a Wondo Genet, in un resort termale. Un tuffo nella piscina di acqua calda è proprio quello che ci voleva! Ultima notte in tenda, domani ci aspettano gli ultimi chilometri di quest’avventura e finalmente un letto.
Sveglia con calma (non mi sembra vero...) disfiamo il campo, ripariamo anche due gomme trovate bucate e ci avviamo lentamente verso la capitale. E si vede, incontriamo un traffico sempre più intenso di jeep e camion, ce ne eravamo quasi dimenticati, sugli sterrati al massimo incontravamo greggi e mandrie. Sostiamo per un caffè e per l’immancabile foto di gruppo sul lago Langano prima di affrontare le nubi tossiche del traffico di Addis Ababa.
Arriveremo finalmente al mitico Hotel Extreme dopo aver percorso 3.048 km.
Si conclude la giornata successiva, col trasporto delle moto in aeroporto per la spedizione a Roma, e un pomeriggio al museo etnografico e al mercato, un OMO River Raid davvero intenso, pieno di emozioni, di immagini, di fatica e tanta, tanta soddisfazione per aver esplorato un paese bellissimo, incontrato popolazioni diversissime fra di loro e da noi, conosciuto tantissimi bambini che ci hanno regalato sorrisi e emozioni uniche. Un viaggio, ancora una volta, indimenticabile, perchè un viaggio di questo tipo, soprattutto in moto, non ha paragoni.