YEMEN Moto Raid 2002 di Armando Cairoli
Diario di un viaggio insolito
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06 :30 Yaaaaaawn ! Sala d’attesa nella nuova ala A dell’aeroporto di Bruxelles… ci sono già tante persone in partenza, normale, siamo al primo fine settimana di agosto, ma dall’abbigliamento si capisce che vanno sul tradizionale.
Io sono seduto un pó in disparte, con addosso la giacca da moto e accanto il casco… le due ragazze poco distanti mi guardano e commentano, si diranno “ma dove va quello li…”!
Già… dove va…
06:40 Imbarco per Roma Fiumicino, posto 13A… l’avventura puo’ iniziare.
10:00 Arrivo a Roma e incontro col gruppo. L’incontro é piacevole e scherzoso, si fa conoscenza. Ci sono Alex, il capogruppo, con la sua ragazza Inés, Paolo di Padova, piccolino con una grossa BMW650 Dakar, Sergio di Mestre, anche lui col Transalp e per la prima volta su un Raid, Massimo e Monica, la coppia di Piacenza, Roberto di Roma, Domenico di Brescia e Alessia che partecipa senza moto (ma col casco), che si farà aspettare fino all’ultimo momento davanti al check-in; per punizione dovrà gestire la cassa comune con Alex, piaccia o no.
14:50 Yemenia, volo IY 741, con le moto nella pancia, rulla adagio sulla pista…. Si vola via!
21:00 Arrivo a Sana’a, col solito casino dei paesi arabi. I due Peugeot 504 antidiluviani ci portano in albergo, dove si incrociano i vari gruppi di “Avventure nel Mondo”.
Si tirano a sorte le due camere destinate ai “single”. Alessia, unica ragazza al di fuori delle due coppie capita piacevolmente nella stanza dei caproni.06:30 Mazzata! Dopo poche ore di sonno… occhi gonfi a tavola, ci prepariamo ad andare in aeroporto a sdoganare le moto. E tutti pensano… chissà in quale stato le ritroveremo!
34.868,2 Km segnati sul contachilometri in dogana, che bella sensazione accendere la moto e sentire il suo rombo al primo colpo! Ci addentriamo nel traffico impazzito di Sana’a e trascorriamo il pomeriggio a piedi nella vecchia città. La sera ci ricompensa una lauta cena dal siriano, che si rivelerà poi essere un libanese ma tant’é… arabo per arabo…
Prima di dormire, cicchettino trasgressivo di wisky fuori dalle camere, occhio a non farsi vedere perché qui non perdonano!
Mazzata ! Decisamente non ci mi abituo a questo ritmo ipermattutino… è il giorno della partenza, ci aspettano 160Km di asfalto e 12 di sabbia, la mia prima volta…
All’appuntamento alle 09.00 fuori dalla città ci aspetta la prima novità di questo insolito viaggio… la scorta armata. Una jeep con 8 militari e un mitragliatore fissato sul Pick-up Toyota chiuderà la carovana. Si capisce subito che forse non é il caso di scherzare troppo da queste parti.
Dopo i 160 Km che ci hanno portato a Marib, eccoci al punto fatidico… il grande deserto di sabbia !
Molti sono stati i consigli, adesso si tratta di metterli in pratica ! Un consiglio prevale, andare a manetta, e allora mi butto ! Seduto indietro sulla sella, braccia tese e contagiri fisso a 4000 giri/minuto… E’ una sensazione pazzesca!! La moto vola sulla sabbia liscia, scodinzola, soprattutto non bisogna perdere la concentrazione…
Il campo beduino dove dovremmo pernottare era segnalato a 4 Km… ma per nostra sfortuna – o avventura – i beduini si sono spostati e non si vede assolutamente nulla all’orizzonte. Stà per calare la sera, urge trovare una soluzione. Un campo beduino é segnalato a 60Km a Est, la nostra direzione, ma è improponibile. Alex, il nostro capogruppo, una vecchia volpe dei deserti e dei Raid salta sulla Jeep del beduino che ci accompagna su questa tappa alla ricerca del campo, noi aspettiamo. Sembra di stare in mezzo al’oceano, col vento che si alza e il sole che va giù, sempre più giù… non sappiamo come andrà a finire.
Passano 40 minuti, ed ecco apparire all’orizzonte i faretti della Jeep. Dallo sguardo fulminante di Alex capiamo di non essere in una posizione comoda comoda, ma non si puó rimanere li come salami, non siamo attrezzati con tende o altro. Decidiamo all’unanimità di tentare la traversata dei circa 20 Km che ci separano dal campo beduino che si era spostato a sud, sperando non venga giù buio troppo presto.
Sarà sicuramente una dei ricordi più emozionanti della mia vita. Attraversiamo ad alta velocità 20 km di sabbia seguendo i faretti della Jeep, chiedendoci come diavolo fa senza bussola a ritrovare sei tende e dieci cammelli in un deserto infinito, in piena notte.
Il faro della moto illummina una fascia di sabbia, ci sono pietre in agguato e le manovre, a quella velocità e sul quel tipo di terreno, sono particolarmente delicate, almeno per me. Anche Sergio, col suo Transalp, se la cava bene, e devo ammettere che ci passa un pó di quella paura che avevamo poche ore prima, ora subentra l’adrenalina.
Dopo quasi 30 minuti vediamo il faló dei beduini… ce l’abbiamo fatta !
Arrivo al campo e mi trovo davanti al faro un cammello appisolato… fermiamoci, và !
Applauso e sospiro di sollievo attorno ad un té caldo ed un piattone di risotto beduino. Ci sistemiamo per la notte, tira un vento caldo e sono sottovento a due cammelli, non é il massimo della freschezza, ma il cielo stellato concilierà - si spera - qualche oretta di sonno.
Dopo una notte rivelatasi praticamente insonne – complici i due cammelli – un urlo : “Cazzo che bagarozzo!!”. Sono le 5 del mattino e uno scarabeo ha deciso di fare il solletico ad Alessia. Scattiamo tutti su come molle – si scoprirà cosi che nessuno in realtà dormiva profondamente – e il valoroso Massimo, a colpi di bottiglietta vuota, evita a Sergio la stessa battuta, e conseguente spavento, di Alessia.
Il beduino ci porta il té, il sole stà nascendo, e piano piano usciamo dalla tenda a scoprire questo tratto di oceano di sabbia. Qualche camello ci guarda perplesso.
06:30 Accensione dei motori. Ci aspetta una cavalcata di 150 Km nel deserto, tra sabbia, dune, pietre, cespugli. Manteniamo una velocità di 80-100 Km orari, una follia, sembra di essere alla Parigi-Dakar.
Perdiamo di vista la jeep che chiude la carovana – guida Alessia che voleva provare il brivido del deserto su quattro ruote – e ci tocca una sosta di 30 interminabili minuti sotto un sole cocente, prima di decidere di proseguire. Ci ricongiungeremo al benzinaio, dopo aver ritrovato l’asfalto.
Pranziamo presso Hawra, piatto di cammello con verdure… carne un pó dolce ma ottima!
66 km di asfalto, dopo pranzo, ci portano a Saywun, dove ci aspetta un alberghetto con piscina – vuota, sciagurati ! – e una bellissima doccia ristoratrice.
Dopo 180 km di deserto e quasi altrettanti di asfalto sotto il solleone ci meritiamo la prima birra del viaggio… rigorosamente non-alcoholic.
Un particolare colpisce ad ogni sosta, ci sono tutti gli uomini e bambini presenti – mai che si vedesse una donna – che ci vengono incontro, ci guardano ammirativi, come se sbarcassimo da un’altro pianeta (e poco ci manca), ci salutano, vogliono toccare le moto, quanto fanno di velocità ? Ci porti a fare un giro ? I turisti scarseggiano, evidentemente il posto tira poco, e siamo visti e accolti sempre con piacere.
Giornata tranquilla, siamo a métà strada fra Terim e Shibam e, visto il caldo pazzesco, decidiamo di visitare Terim la mattina presto, trascorrere la metà del pomeriggio in albergo, visto che ci hanno riempito la piscina, e poi finire con Shibam, che vorrebbe essere la “Manhattan” dello Yemen, termine forse un pó provocatorio, viste le origini locali di un certo Osama…
Lasciamo le moto in piazza, come sempre alla buona vista di Ali, la nostra simpatica guida e autista, che ride sempre e ribadisce in continuazione che non ci farà conoscere sua moglie, una fanciulla ventitreenne… qui é cosi. E’ quasi una settimana che non vediamo una donna, tranne bambine che non portano ancora il velo integrale. Ci facciamo il solito bagno di folla che incuriosita ci viene a chiedere chi siamo, da dove veniamo, welcome! Ma che belle moto, possiamo fare un giro? Poco prima del tramonto ci arrampichiamo sulle alture poco fuori Shibam ad ammirare questo paesaggio da cartolina.
Tappa a dir poco… M A S S A C R A N T E !
Dobbiamo raggiungere Al Mukalla, porto del sud del paese. Ci sono 350 Km, ne faremo circa 250 di asfalto, il resto…
Dopo i primi 120km, ci buttiamo in un ouadi, un fiume in secca usato come strada dai locali con le jeep, in pratica una pietraia micidiale, tutto ciotoli e sassi, bisogna seguire scrupolosamente la traccia lasciata dalle macchine altrimenti guai. Il problema é che bisogna andare ad una certa velocità per tremare di meno, ma ad alta (si fa per dire…) velocità é difficile rimanere dentro la traccia… il primo a farne le spese é Sergio, col suo Transalp. Lui ed io abbiamo in comune la moto e la scarsa, per non dire inesistente, esperienza di tutto ció che non é asfalto. Poco prima della sosta per il pranzo nella piccola Sif infatti lo vedo davanti a me che scodinzola, saltella con una ruota in una traccia, e la seconda nell’altra, perde l’appoggio del piede… PLAF! A terra con Alessia, senza troppi danni. E’ il primo a cadere in questo Tour, dovrebbe pagare da bere, ma il secondo non si fa aspettare. Dieci minuti dopo, al passaggio di una cunetta per entrare in paese… PLAF! E sono io! Perdo il controllo dopo essere entrato male alla base della cunetta e finisco nei cespugli. La moto si accascia sui ciotoli e rovino la “guancia” destra. Ero preoccupato da questo tipo di cadute, dove non ci si fa male ma si rovina la moto, e infatti… ma come diranno tutti (dopo, ovviamente) “… eddaaai che é vissuta !”.
Pranziamo nell’unico ristorantino del paese, non senza aver prima effettuato un giretto per le viuzze del villaggio, tutte terra e polvere… e sassi, che mi offrono la seconda caduta. Uffa…
Si riparte dopo il pranzo per finire con questa pietraia infernale, non si contano più i gradi al sole, faccio addirittura fatica a respirare. Mangio polvere e mi tremano le braccia per lo sforzo. Dopo circa un’ora, la liberazione. Alex mi abbraccia e mi ficco la testa sotto il rubinetto d’acqua del benzinaio. Mi immagino che il peggio é passato, ma rimangono decine di chilometri di sterrato, definito “veloce”… certo, fino a quando non ci si mette la pioggia… Ci mancava solo quella! E’ arrivata nel momento peggiore (già, senno’ che avventura sarebbe…), dato che stavamo percorrendo una pista che a tratti é un cantiere della strada che l’anno prossimo sarà asfaltata, merito della ditta “Bin Laden & CO.” che si é assicurata l’appalto dei lavori.
Inizia cosi un zig-zag pazzesco fra guadi, pozzanghere enormi, fiumiciattoli in piena, col rischio di centrare una buca o un sasso, che promette un bagno di fanghi che neanche a Abano Terme sognano.
Prosegue piuttosto bene, tutti infradiciati e infangati fino al collo, ma nessuno cade.
Fino a quando dobiamo attraversare circa cento metri di una poltiglia verde micidiale. Si incolla sotto le scarpe e ogni volta che metto piede cresco di tre centimetri. Le moto si infangano al’inverosimile, fino a bloccarsi. Rimango come un salame in mezzo alla salita. Corrono peró verso di me i miei due angeli custodi, Domenico e Massimo, sempre pronti a tirarmi fuori dai casini che puó combinare un principiante. Domenico prova a mettersi sulla moto e basta una sgasata perché si ritrovi anche lui in bilico, con la moto che gli sfugge di mano dal peso… stupito, eh? Sergio é bloccato pure lui, poco più su, ma con un problema in più, non gli entrano più le marce, e la cosa si fa seria... I dischi della frizione sono bruciati. Decidiamo di staccare il parafanghi anteriore delle nostre moto che, abbiamo scoperto, aveva completamente bloccato la ruota… sfido chiunque a proseguire con 3 chili di argilla secca che ti blocca!
Rimorchiamo Sergio fino all’asfalto, un paio di chilometri più avanti. Una jeep della polizia, opportunamente “convinta” provvederà a portare la moto di Sergio ad Al Mukalla. Ci rimangono 132 km di asfalto, siamo sfiniti, la strada é bellisima e a tratti molto ripida, ci si chiede come diavolo fanno a costruire pendenze cosi.
A darci il colpo di grazia ci penseranno la pioggia, che riprende fitta fitta e ci rende la strada polverosa bella scivolosa, grazie anche alle gomme tacchettate che non ci aiutano, e Ali, che decide di bucare una gomma della jeep a due chilometri dall’albergo, costringendoci all’ennesima sosta sotto l’acqua… e bravo Ali!
Arriviamo cosi alle 19:30 in albergo, sfiniti, sporchi e bagnati, ma con una giornata indimenticabile alle spalle.
Al Mukalla – Bi’r Ali, si va al finalmente al mare! La tappa è corta, un centinaio di chilometri lungo il litorale che dà sull’oceano indiano, una strada a tratti a curve lungo pareti rocciose, a tratti in mezzo alle dune di sabbia finissma sollevata da un vento laterale fortissimo che ci costringe a viaggiare inclinati per non essere ribaltati. Si solleva talmente tanta sabbia che fatico a vedere chi è davanti a me, cento metri più avanti, uno spettacolo.
La sistemazione a Bi’r Ali è stupefacente. Si sentiva parlare di una casetta al mare da un paio di giorni, e ognuno di noi si era immaginato qualcosa, ma mai quello che ci si è presentato all’arrivo… praticamente un’abusivo yemenita che è riuscito a tirare su una base di cemento con otto piloni di cemento armato e un soffitto piatto, evidentemente un secondo piano mai completato, il tutto a 50 metri dal mare. Sistemiamo il telone sulla sabbia che ricopre questa base di cemento e PLUF ! Tutti in acqua per l’unico bagno dell’estate, a giocare con le onde come tanti anni fa… e nell’Oceano Indiano, pleeease!
Questa spiaggia, apparentemente deserta, è invece abitata da centinaia di granchi e paguri che escono al tramonto, invadendo tutto, correndo a velocità impressionanti verso il mare. La sera mangiamo pesce, ottimo, all’unico posto di blocco sulla strada, prima di coricarci nei nostri sacchi lenzuolo ai quattro venti. L’aria è piacevole, trascorreremo una bellissima notte all’aperto.
AAAAAAAHHHHHH!!!! Un urlo alle cinque del mattino tira giù tutti dal sacco. E’ ancora Alessia che ci dà una di quelle sveglie al cardiopalma. Un granchietto, questa volta, voleva togliersi lo sfizio di farle solletico. Si vede che si era sentito col bagarozzo del deserto e voleva farsi anche lui due risate. Non resistiamo alla tentazione del bagno all’alba, una buona consolazione per questa sveglia decisamente mattutina.
Oggi ci toccano circa 400km di asfalto, dobbiamo raggiungere Sana’a, con una sosta notturna ad Al Bayda. La tappa, massacrante per le natiche, ci riserverà comunque l’arrampicata vertiginosa al passo Naqil Thirah, 2250m, con pendenze allucinanti mai viste in Europa. Come dimenticare la scorta armata di kalaschnikov che Domenico mi ha gentilmente affidato come passeggero… a forza di buttarsi al lato opposto alla curva mi fa sbandare ad ogni tornante, col rischio non indifferente di fare un salto di qualche centinaio di metri nel vuoto…
Sosta notturna ad Al Bayda in un alberghetto fresco fresco di appena un anno.
Raggiungiamo Sana’a dopo 270 km di bellisimi paesaggi e villaggi con buffe garritte mai viste sino ad oggi. Il pomeriggio lo trascorriamo con una bella manutenzione delle moto, dato che sono arrivati i dischi della frizione di Sergio da Roma; bella lezione di meccanica, prima di un lauto pasto.
Domani si va al al nord, ci aspettano le montagne e i suoi irti sentieri.
Trasferimento da Sana’a a Sa’dah, al nord. I paesaggi sono decisamente diversi, più montagnosi con terrazzamenti per le colture, le costruzioni si fanno praticamente tutte in pietra e non più in terra e fango. Si pranza a Huth, con un’altro gruppo di Avventure che viaggia in jeep, ci perseguita col suo casino indescrivibile… i soliti italiani in vacanza…
Arriviamo poco prima del temporale a Sa’dah, sistemazione in albergo e passeggiata, questa volta sotto l’acquazzone, nel mercatino locale. La sera ci aspetta il solito piatto di pollorisoeverdurecottechenonsenepuópiù!!!
Giornata previdibilmente dura, ci dobbiamo trasferire a Shaharah, un paesino oltre i 2600m di altitudine, arroccato su un picco alla fine di uno sterrato a dir poco da brivido. Bisogna arrivare prima della pioggia, prevedibile a fine pomeriggio a queste altitudini, o chi vuole salire in moto si trova bloccato.
Per arrivare alla base della montagna percorriamo una ventina di chilometri di sterrato impegnativo, con guadi, pietraie, sali e scendi veramente stancanti.
Ad 1km dalla base ci coglie la pioggia. Sergio ed io decidiamo, saggiamente, di lasciare le moto alla base e proseguire con i pick-up locali, uniche jeep capaci di percorrere i circa 11km che ci separano dalla vetta. La mulattiera, vista da sotto, é impressionante.
La nostra decisione si avvererà saggia, visto la fatica con la quale Paolo, col suo BMW650 Dakar, farà per arrivare in cima. Diverse cadute, l’altitudine, la pioggerellina, lo stress lo faranno letteralmente a pezzi, tanto che il solito Massimo lo affiancherà portando su la moto, con Paolo che arranca a piedi.
Arriviamo dopo circa due ore alla cima e ci prepariamo a pernottare nel funduk, una stanza collettiva dove ci si sistema come si puó, su dei tappeti, e si vive in casa coi locali.
Prima di dormire ci facciamo una passeggiata per il paesino, cosi fuori dal mondo. Scruteremo anche il cielo, alla ricerca di qualche stella cadente.
Questo posto ha veramente qualcosa di magico, come il primo bacio ad Alessia, in silenzio, con tutti che ci dormono attorno (quantomeno crediamo). Teniamo questa confidenza per noi, é la nostra piccola avventura dentro l’Avventura, chissà le risate quando salterà fuori !
Ci tocca scendere, e con Alessia e Sergio decidiamo per il trekking di più di un’ora in mezzo alle piantagioni di qat, queste foglie che i locali brucano dal pomeriggio in poi formando una palla da tennis che si tengono in bocca fino a sera, non capendo più nulla e facendo venire i conati a chi gli stà di fronte… Scendiamo una mulattiera che ci spezza le ginocchia fino ad Arabba, praticamente a metà strada fra la cima e la base dove ci aspettano le moto.
Rifacciamo i venti chilometri di sterrato del giorno prima in senso contrario, sotto un sole rovente. Dieci minuti dopo la partenza ci ritroviamo di fronte una bella salita, tutta pietraia e ciotoloni. Non so se per la sveglia mattutina alla quale decisamente non mi abituo, o per il trekking spaccaginocchia, prendo la traccia di destra, colpo di acceleratore…. PLAF! A terra. Accorrono i soliti Domenico e Massimo a tirarmi su, un massaggio alla gamba rimasta sotto la moto e al braccio ammaccato, si prosegue. Cercheremo anche di evitare i sassi lanciati da qualche pastorella contro di noi… non siamo sempre i benvenuti evidentemente, e al nord bisogna fare attenzione, oltre alla strada, anche a chi si avvicina.
Il pomeriggio ci aspettano altri 30km di sterrato per arrivare a Thila, un paesino stupendo conservato con i fondi dell’Unesco. E’ il primo (e unico) paesino piastrellato e pulito che vedremo in questo viaggio.
Arrivando alla fine dello sterrato c’é una pozzanghera enorme da superare, passo terzo, sul lato sinistro opportunamente liberato da Roberto, ma affondo la ruota posteriore in quaranta cm di poltiglia. Ingrano la prima e accellero, Alex sbraita, Roberto sbraita il contrario… io non mi muovo di un millimetro, ragazzi! Mi disincastrano, e scopriamo che la catena è uscita dalla corona, incidente raro, ma sospiro di sollievo, tutti temevano il danno peggiore, frizione o cambio.
Entriamo finalmente nel cortile del funduk, al centro del paese, salutati dai bambini che ci fanno festa, e ci abbracciamo tutti.
Ferragosto, giornata tranquilla (la prima) a Thila. La mattina ne approfittiamo per un pó di manutenzione e un bel lavaggio delle moto che hanno veramente vissuto di tutto.
Il pomeriggio ci rechiamo a visitare qualche cittadina e qualche cisterna particolare. Ci fermeremo in un altro funduk a poca distanza da Thila, non si capisce troppo perché, ma ci troviamo bene lo stesso.
Ali ci porterà in cima all’altopiano per una vista mozzafiato, per poi scendere a piedi fino in paese. Inizieremo anche una partitella a volley con dei bambini, vicino al mercato, che finirà in una rissa locale a colpi di jambia, il coltello ricurvo che tutti portano alla cintura, e sassi che volano, il tutto per una palla che finisce addosso ad uno che non c’entrava nulla… non cerchiamo di capire oltre e ce la diamo a gambe !
Tappa di trasferimento verso Manaka, nelle montagne. Percorriamo una strada bellissima, iniziando con uno sterrato veloce ; ormai ci ho preso la mano e vado che é un piacere ! Arrivati sull’asfalto prendo sulla moto Alessia e proseguiamo insieme ; E´ bellissimo percorrere queste strade e condividere un’emozione unica!
La strada prosegue tra un passo e l’altro, tutto un saliscendi a curve, paesaggio davvero bello.
Arriviamo a Manaka verso l’ora di pranzo, ci installiamo nel funduk e nel pomeriggio ci divertiamo a percorrere uno sterrato spettacolare in mezzo alle montagne, alla scoperta dei piccoli villaggi. Dopo cena ci sorbiamo le danze locali a suon di tamburo.
Ultima tappa, torniamo a Sana’a. C’é atmosfera di ritorno a casa, lo avverto in tutti quanti, e già ci dispiace lasciarci, perché é stata veramente una bellissima avventura.
Nel pomeriggio andiamo al Wadi San a vedere la famosa casa sulla roccia e ci beviamo un’ennesimo té, ascoltando Alex che, come ogni giorno, ci racconta le sue avventure e i suoi raid precedenti, con aneddoti che ci fanno sempre ridere. Sembriamo tanti nipotini che ascoltano le avventure del nonno…
Dogana per le moto. Giornata noiosa in quanto arriviamo alle 10.30 in aeroporto e ce ne andiamo alle 16.30. Abbiamo aspettato che The President partisse, che ci aprissero i cancelli, che ci dessero l’autorizzazione a caricare le moto sul pallet…
Abbiamo percorso 2.817km in 13giorni consecutivi, una media di 216km al giorno.
Partenza! E´ arrivato il giorno fatidico del rientro. In mattinata ci facciamo una lunga passeggiata per i quartieri della vecchia città che non avevamo ancora visto, e ci perdiamo nelle viuzze del vecchio mercato per gli ultimi acquisti.
Nel pomeriggio prepariamo i bagagli.
Sono le 17.30, scrivo queste ultime righe e mi si stringe il cuore all’idea di lasciare il gruppo. Non trovo le parole giuste per dire quanto sia stata meravigliosa quest ‘avventura, l’esperienza del deserto, delle piste, della gente che ti viene incontro…
Ci imbarcheremo alle undici di sera per l’ultima volata insieme, destinazione Roma Fiumicino, con nel cuore le luci , le voci, gli odori, la magia dei paesaggi di questo Yemen definito non a caso, da un certo Pasolini, da Mille e Una Notte.